Il trattamento chirurgico dei tumori a localizzazione pancreatica varia in rapporto alla presenza di metastasi, di solito epatiche.
Nel caso di un tumore pancreatico primitivo non metastatico, l'asportazione radicale della massa si configura come trattamento curativo. Questa condizione si rende però possibile in una quota inferiore al 10% dei casi. L'esplorazione chirurgica, anche con l'ausilio di US intraoperatoria, ha il compito di localizzare con precisione la sede della lesione e di escludere eventuali sedi metastatiche.
Nel caso di un tumore unico della testa pancreatica, il trattamento prevede la duodenocefalopancreasectomia (secondo la tecnica di Whipple o di Longmire-Traverso); fanno eccezione i casi di tumore di piccole dimensioni che possono essere semplicemente enucleati o asportati con la conservazione della maggior parte di tessuto pancreatico sano, quando abbiano un diametro inferiore a 2 cm e un basso indice di proliferazione.
Nel caso di un tumore unico a carico del corpo o della coda pancreatica, il trattamento prevede invece rispettivamente la pancreasectomia sub-totale e la pancreasectomia distale.
Quando le localizzazioni a carico del pancreas sono multifocali, si rende indispensabile la pancreasectomia totale.
In presenza di metastasi al fegato, con neoplasia primitiva resecabile, va pianificato il tipo di trattamento in rapporto al numero, alle dimensioni e alla sede delle lesioni epatiche.
Nel caso di lesioni multifocali epatiche, la chemioembolizzazione costituisce il trattamento di scelta; se invece le metastasi sono confinate ad uno dei due lobi epatici, il trattamento può prevedere l'epatectomia (destra o sinistra) oppure, nei casi di unicità della lesione, la segmentectomia e in alternativa, nei casi di accesso chirurgico difficile, l'alcolizzazione o la radiofrequenza anche intraoperatoria . Gli interventi di citoriduzione (debulking) proposti da alcuni Autori, possono trovare un loro impiego nella neoplasia funzionante per ridurre la quantità di tessuto neoplastico secernente e quindi per controllare i sintomi della malattia, garantendo al paziente una migliore qualità di vita, ma non una maggiore sopravvivenza.
Indipendentemente dall'attività biologica del tumore, è certo comunque che una generosa citoriduzione può aumentare la percentuale di successo della terapia adiuvante. Una resezione palliativa efficace implica però la rimozione di almeno il 90% di tessuto neoplastico, aumentando in modo sostanziale non solo la percentuale di morbilità postoperatoria, ma anche il rischio di complicanze chirurgiche, quali quelle emorragiche compreso il potenziale inquinamento neoplastico a carico del peritoneo.
Nello stadio avanzato della malattia, i pazienti candidati a un trattamento chirurgico radicale e curativo sono meno del 10%, e la sopravvivenza a 3 anni è inferiore al 25% dei casi. Quando invece è il tumore primitivo a non poter essere rimosso con criterio di radicalità, il trattamento chirurgico sarà unicamente rivolto alla correzione di un alterato transito digestivo (ittero, ostruzione intestinale alta), adottando provvedimenti che potranno essere chirurgici (derivazione bilio-digestiva, gastroenterostomia), endoscopici (protesi biliari) o locali (derivazione biliare esterna).
Quando non sia possibile localizzare intraoperatoriamente la lesione neoplastica insulare, nonostante criteri clinici e di laboratorio probanti per tumore neuroendocrino, deve essere sempre rifiutata la cosiddetta resezione "alla cieca" (blind resection) di parenchima pancreatico, rimandando alla terapia farmacologica il controllo della malattia. Ciò vale soprattutto per l'insulinoma, maligno nel 10% dei casi e presente nel 50% o alla testa o in regione caudale; pertanto una resezione blind del pancreas potrebbe recare vantaggio solo in una metà dei casi, mentre il rischio di non resecare un insulinoma maligno è limitato a un caso su dieci.
Il problema è diverso per il gastrinoma, che può anche avere sede extra-pancreatica; per tale motivo, una particolare attenzione deve essere riservata al triangolo del gastrinoma per lo studio della regione duodenale, alla quale si accede attraverso una manovra di Kocker completa, a cui può essere associata la transilluminazione duodenale per via endoscopica o ancora la duodenotomia longitudinale che permette di apprezzare fra le dita noduli neoplastici sottomucosi di dimensioni anche inferiori al centimetro.
Nel caso di un gastrinoma a sede pancreatica, la potenziale multicentricità delle lesioni dovrebbe indurci a optare per la pancreasectomia totale, che potrebbe risultare di scarsa utilità per la presenza di malattia residua anche nel 40-60% dei casi; infatti, non si deve dimenticare la possibilità di una localizzazione extra-digestiva, frequentemente a carico dell'ovaio, che obbliga il chirurgo ad una attenta esplorazione di tutto il cavo addominale.
Un caso particolare riguarda i tumori insulari nell'ambito di una malattia familiare (MEN 1) che di solito, per il frequente basso grado di malignità e l'asintomaticità della malattia, vengono trattati in modo conservativo. Fanno eccezione le neoplasie secernenti (in particolare il gastrinoma e l'insulinoma), il cui approccio chirurgico aggressivo anche nella malattia metastatica, si rivela determinante allo scopo di aumentare la sopravvivenza del paziente.
Quando l'ipercalcemia, secondaria all'iperparatiroidismo in ambito MEN, mantenga elevati i livelli sierici di gastrina, trova indicazione la paratiroidectomia allo scopo di controllare la secrezione di gastrina così da incrementare la risposta terapeutica offerta dagli antisecretivi la cui dose, in qualche caso, può anche essere ridotta.